Intervista con il Regista Francesco Frongia e l’attore e regista Giacomo Ferraù
da: Laura Rossi (5LB)
Francesco Frongia è socio del teatro Elfo Puccini, regista di teatro, video e opera lirica.
Giacomo Ferraù è regista, attore, drammaturgo; direttore artistico e segretario della compagnia Eco di fondo.
Oltre le recensioni positive, lei ha anche ricevuto delle critiche molto dure? Come lei gestisce le recensione negative?
Francesco: Penso che le critiche siano molto utili e bisogna imparare a interpretarle, e con il tempo ce la si fa. Il problema della critica, cioè, è l’interpretazione di essa, il pensiero e l’uso delle parole. Le parole per noi sono più che importanti; per noi ogni singola parola che viene detta sul palco è stata pensata, è stato pensato come viene espressa e verso chi viene detta, quindi per noi il linguaggio è la base del nostro lavoro. Io faccio una critica a chi fa le critiche: bisogna fare attenzione nel fare le critiche alle parole che si usano, perché quelle parole hanno un significato per chi le riceve; perché fare attenzione nella scelta di una parola può fare la differenza tra una critica che io recepisco positivamente e una critica che invece non mi insegna niente. Le critiche servono per andare avanti, per capire se quella cosa che tu hai scelto, l’effetto che tu hai cercato, è stato compreso o meno. Nel momento in cui ti arrivano le critiche che esulano da un contesto e che non parlano più del tuo lavoro, allora non sono più utili. In un caso una critica l’abbiamo volutamente ignorata; anzi, l’ho praticamente cestinata, Giacomo mi ha detto: Ma hai letto? E io gli ho risposto che l’avevo letta ma non avevo nemmeno la voglia di parlarne perché non mi sembrava ne valesse la pena. Il mio ufficio stampa invece si è arrabbiato (risate), poiché la critica faceva un’affermazione che non corrispondeva alla realtà; diceva cioè che noi non eravamo stati capace di esprimere la dolcezza che c’è nel mondo delle disabilità (la critica riguardava lo spettacolo Dedalo e Icaro n.d.A.). Il giorno prima, invece, avevamo incontrato Dafne, dell’associazione Fabula di Milano (La Cooperativa Sociale Fabula Onlus si occupa di educazione, autismo e disabilità fisiche e psichiche) e lei ci aveva detto esattamente il contrario. Ci erano arrivati anche dei messaggi di compiacimento per l’attenzione che noi avevamo rivolta al problema con lo spettacolo; ma noi lo sapevamo, perché avevamo fatto un lavoro di mesi. Tindaro aveva fatto controllare il testo mille volte per evitare di dire delle sciocchezze, per evitare che ci fosse una inesattezza nel linguaggio e nella scelta, per cui su questo eravamo veramente stati molto attenti; inoltre l’avevano letto diverse persone prima che noi iniziassimo le prove, per cui ci sentivamo sicuri. Ecco perché trovo quella critica, non solo non necessaria ma tra l’altro addirittura disonesta, perché stava dicendo qualcos’altro che non centrava nulla con lo spettacolo. Io accetto le critiche, quando hanno a che fare con il mio lavoro; io sul mio lavoro sono una persona ipercritica, sono il primo ad avere dei dubbi sul quello che faccio continuamente. Sono devastato dalle critiche, perché penso continuamente a come trovare il modo per migliorare, per ottenere quel particolare effetto; mi chiedo in continuazione se riuscirò a comunicare esattamente quella cosa che sto cercando di raccontare. Questo è il mio lavoro; per me è fondamentale e io ci penso continuamente. Quando nella critica non si parla del mio lavoro ma si parla di qualcos’altro e in più mi si dice qualcosa che non è vera, ecco in quel caso mi arrabbio. Io sono felice di ricevere le critiche, anche quelle negative, perché sono utili e perché mi fanno capire qual è il limite, che cosa non ho raggiunto e dove posso migliorare, in questo mi sono utili.
Giacomo: Ha detto già tutto Francesco e condivido tutto. Nel caso di quella critica che abbiamo ricevuto, si capisce come non solo non sia una critica costruttiva, ma come non sia capace di comunicarti qualcosa che ti può aiutare. Io, in generale, penso che nelle recensioni teatrali alcuni usino dei termini che fanno quasi pensare a una recensione cinematografica, e questo rappresenta un grosso problema, perché? questa è una mia sensazione personale, ma il film è univoco, nel senso che in serate diverse vediamo sempre la stessa cosa; invece la sera a teatro è sempre diversa dalle precedenti o dalle successive. La reazione del pubblico è una cosa che ogni critico dovrebbe valutare e comunicare, per giunta, perché non è detto che se ti dà fastidio che gli altri piangono vuoi dire che quello spettacolo non sia valido, per esempio. Questo è molto importante e ci vorrebbe una sensibilità e una attenzione in più, capire che questa sera vedi questa cosa e devi saperlo che domani non sarà lo stesso.
Voi prevedete che tra cinque anni qualcosa sarà cambiato nel teatro? Pensando alle idee della generazione che va al teatro adesso, che è cambiata nei decenni e che tra cinque anni sarà diversa ancora, come la regia può adattarsi a questo cambiamento?
Francesco: Il teatro vive qui e ora, il teatro si fa oggi, il teatro vive del suo essere presente e del suo rapporto con il pubblico, vive della sua impossibilita di essere replicato in un altro modo che non sia nello spettacolo dal vivo, in cui delle persone scelgono di uscire alla sera ed andare a vedere degli essere umani che interpretano delle storie, che danno voce a delle storie. Il teatro esiste da più di duemila anni e ogni giorno si pone il problema di cosa sarà fra cinque anni; ogni regista da duemila anni sino ad oggi si è posto il problema del pubblico nuovo. A questa domanda io ti rispondo che c’è sempre qualcuno che compie sedici anni e c’è sempre qualcuno con cui noi dobbiamo parlare. Peter Brooke sceglieva di far vedere lo studio dei suoi spettacoli a dei bambini per capire se l’effetto che lui stava cercando era giusto, diceva che se lo capivano dei bambini lo avrebbero capito anche tutti gli altri. Quando un maestro del teatro come Peter Brooke sceglie come pubblico privilegiato quello di una fascia giovanile è perché sceglie non di semplificare il linguaggio del teatro ma di comunicare in modo chiaro e inequivocabile. Noi che facciamo il teatro, ci poniamo sempre il problema di cosa sarà fra cinque anni, ma non sappiamo noi cosa saremmo fra cinque anni, quindi non ti saprei dare una risposta di cosa sarà il teatro, ma so che saremmo ancora qui.
Giacomo: Sono pienamente d’accordo, saremmo ancora qui. Questa è il fenomeno del compromesso e quanto il teatro ti compromette. Nel teatro serve che tu abbia un compromesso, nel senso che tu abbia uno spostamento da dove sei arrivato in modo da poter valutare le cose, da dire si o no, questo non mi piace e questo non lo ascolto più; qui sei obbligato ad una specie di orizzontalità. Questo è il mio pensiero, siamo in un momento politico in cui è più necessario valutare le cose e tra cinque anni sarà ancora di più. Il giorno in cui diranno “ah ma stiamo ancora a parlare di questi temi” di tutti i temi sociali o no, in realtà sarà una frase già ripetuta mille volte. Credo che qualsiasi regista quando fa un spettacolo su una tematica sociale, che sia l’omosessualità, l’autismo, la società di fronte all’autismo o che sia l’eutanasia, lo fa sperando che diventi una tematica inattuale. Ma in realtà vengono riproposte considerazioni che affermano come la tal cosa sia scontata, mentre invece non lo è.. Andare al teatro è una scelta civile, si deve sempre continuare a discutere.
Ho una ultima domanda più aperta e un po’ più personale sulla carriera del regista teatrale, cosa bisogna fare per diventare regista? magari ci sono delle cose che non tutti immaginano o hanno conoscenza sulla carriera di un regista? Come voi avete deciso di voler fare i registi?
Francesco: Questa é veramente la domanda più difficile (risate). É curioso perché, sia io sia Giacomo siamo entrambi anomali, anche se probabilmente tutti i registi teatrali avranno la loro carriera anomala. Non si sa come a un certo punto inizi, si sa che ha un certo punto lo sei, cioè, da un certo punto in avanti ti assumi la responsabilità di dire a qualcuno che cosa deve fare e quindi accetti di giocare un ruolo. Io ho fatto di tutto nella mia vita da quando mi sono diplomato a quando ho iniziato la mia carriera, veramente di tutto, dal bibliotecario, a portare i cavi facendo l’elettricista. Ho fatto anche la scuola di cinema; l’anomalia per me è che, ad esempio, ho fatto la scuola di cinema lavorando al cinema o in televisione, ma ho smesso perché non ero soddisfatto di diverse cose del rapporto. Soprattutto a Milano c’è moltissima televisione e io ho finito per fare televisione; ho partecipato anche a prodotti di buon livello, ma non era quello che mi interessava e non sono mai riuscito ad appassionarmi davvero. Ancora adesso io giro video, continuo a fare eventi dal vivo, mi occupo anche di altre cose che esulano dal teatro, ma sempre meno , perché per fortuna il teatro occupa una buona parte della mia vita. Un giorno ho chiesto a Elio, uno dei capitani del teatro dell’Elfo, di diventare suo assistente; banalmente avevo chiesto questo perché io ero appassionato di teatro, più o meno è successo cosi. Poi ho passato un lungo periodo con lui per diversi anni, poi ho abbandonato quasi totalmente il rapporto con i video e la televisione, e in seguito l’ho recuperato; ho iniziato a lavorare invece come video artista per gli spettacoli teatrali, per cui io faccio oltre che il regista teatrale anche il regista video negli spettacoli. Insomma, la cosa che bisogna fare è tenere gli occhi aperti, perché fare il regista teatrale significa andare a vedere una mostra, leggere il giornale, leggere un libro, guardare la tv, seguire le serie, prendere la metropolitana, andare a fare la spesa, cioè, non sai mai di che cosa ti dovrai occupare. Ad esempio, nel caso dello spettacolo Dedalo e Icaro è stato importante andare a fare la spesa; infatti in una delle scene gli attori devono fare la spesa, e noi l’abbiamo fatta fisicamente insieme ai ragazzi, noi sapevamo come loro reagivano e come le persone guardavano loro che erano li a fare la spesa. Fare il regista teatrale significa studiare continuamente, quindi sai che la tua vita è dedicata allo studio, ma non sai di cosa (risate), dato che ogni volta deciderai quale spettacolo andrai a fare e non sai mai prima di che cosa ti occuperai. In questo senso, l’insegnamento è fondamentale, io non avendo fatto accademia, mentre Giacomo ha fatto accademia ma come attore…
Laura: Riguardo ad avere fatto accademia o no è un punto curioso perché so che molti studenti pensano di avere bisogno di un diploma di prestigio per essere un regista ma magari no…
Francesco: Ma ci aiuta! Ci aiuta; nel mio caso la scuola di cinema mi ha aiutato, non avevo ancora finito la scuola ma sapevo già che avrei iniziato a lavorare, cioè anzi io avevo già iniziato a lavorare perché nell’ultimo anno quando prepari il film hai parecchio tempo libero e quindi in quel caso io già facevo altro e poi ho finito la scuola e già lavoravo. Ma ciò avviene perché è quell’ambiente che ti porta a questo, cosi come far parte di una accademia o far parte di una scuola; in ogni caso fa sì con che le energie di tutti quelli che partecipano siano convogliate a uno stesso scopo; questo aiuta e le scuole servono a questo. Io non ho fatto accademia, non ho fatto una scuola di preparazione al teatro ma ho imparato sul campo; io ho imparato qui sul teatro, non in qualsiasi campo. Ho cambiato percorso dal cinema al teatro ma non ho buttato via niente di tutto quello che so fare e tutto mi serve continuamente e mi è fondamentale.
Giacomo: Bisogna prendere delle responsabilità ed approfittare il più possibile perché ci finisce tutto. Prima io pensavo di scrivermi a regia, ma poi ho detto; ma veramente in questo momento non posso lasciare andare le cose e capire se riesco a fare un altro percorso? Ognuno ha il suo proprio percorso peculiare e personale. A me aiuta molto fare tanto il regista come l’attore; cioè, è un carattere molto diverso quello del regista e dell’attore e qualche volta mi viene da dire: cosa sta pensando Giacomo il regista in questo momento di te? stai zitto! (risate). Mi aiuta molto essere il regista e l’attore, anche a pensare che ho sempre voglia di studiare sempre di più, a pensare che devo mettere le cose in discussione e darmi un momento per studiare le cose. Per questo è un privilegio grande, cioè, poter essere aperto a mille tematiche e non essere solo settoriale. Dico sempre quanto sono fortunato di essere al teatro, quello che prende proprio tutti sono le responsabilità e il momento in cui dice che comunque vadano le cose avrò ancora la voglia di continuare e di rischiare, cosi per sapere che ogni giorno so fare una cosa in più.